“Maria diede alla luce il suo figlio, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2, 7).
L’evangelista Luca racconta con poche parole la nascita del Figlio di Dio in una stalla perché non c’è posto per lui nell’alloggio.
Particolarmente in questo momento – nel mondo, in Europa e purtroppo anche in Italia – si rivive drammaticamente la negazione dell’accoglienza per lo sconosciuto, il profugo, il rifugiato.
Che ci siano alcuni o molti che pensano in questo modo e trovano argomentazioni per una chiusura sociale avvalorata talvolta da un progetto politico, può essere comprensibile date le premesse poste per tale visione, ma certamente non può essere condivisibile per una sana analisi antropologica.
Quello che è poi strutturalmente contraddittorio emerge dalla considerazione che nella massa di coloro che vogliono negare l’alloggio ci siano dei cristiani, e per di più praticanti, che ripetono slogan non solo anticristiani ma, talvolta, antiumani.
È giusto che si trovino soluzioni dignitose per coloro che accolgono e per coloro che vengono accolti, che si tuteli la sicurezza del territorio, che si organizzino “corridoi umanitari” per un rispettoso controllo del flusso migratorio originato spesso da situazioni di inaudita violenza e sopraffazione, ma una generalizzazione del rifiuto senza appello, e con motivazioni zoppicanti, non è degno dell’umanità e particolarmente di una nazione come l’Italia che ha sempre brillato nel riconoscimento dei diritti umani e nel generoso impegno nella costruzione della fratellanza.
Che questo Natale ci ricordi l’impegno di scoprire in tutti – specialmente i poveri e gli oppressi – il volto di Gesù.
✠ Salvatore, arcivescovo