Omelia alla celebrazione della S. Messa Crismale
Capua, Basilica Cattedrale, 30 maggio 2020
Vigilia di Pentecoste
Carissimi sacerdoti, diaconi, religiose, seminaristi e fedeli laici, celebriamo la Santa Messa Crismale nella quale benediremo l’olio degli infermi, dei catecumeni e il crisma; la celebriamo con un ritardo di 50 giorni in questa Vigilia di Pentecoste con la certezza dell’aiuto del Signore, la speranza di un miglioramento della situazione di precarietà sanitaria e un recupero di quella sociale e lavorativa attualmente molto preoccupante.
Abbiamo vissuto, e forse vivremo ancora per un certo tempo, in un clima segnato da altruismo e coraggio da una parte e cattiveria dall’altra. Non parlo solo dell’impegno delle diverse categorie di persone che compiono bene il loro dovere e, all’opposto, della criminalità organizzata che si è data da fare; pensiamo ad esempio, a tante situazioni di usura che stanno rovinando ancora di più i deboli e i poveri. Devo sottolineare infatti anche – all’interno della Chiesa – il sacrificio quotidiano faticoso e spesso doloroso di voi sacerdoti chiamati a far fronte a tante necessità mai prima vissute e nemmeno immaginate, la vicinanza delle religiose, il lavoro gratuito dei nostri volontari specialmente quelli delle Caritas parrocchiali, la generosità di tanti anonimi che hanno sentito il dovere di contribuire per i fratelli bisognosi tramite le parrocchie o la Caritas diocesana a volte in maniera molto consistente ma, insieme a queste positività, purtroppo anche rarissimi, ma non giustificabili casi, di parziali disimpegni pastorali da parte di qualcuno di noi.
Inoltre sono state causa di sofferenza le cattiverie gratuite verso i sacerdoti colpevoli di non osservare le leggi (talvolta utilizzando interpretazioni molto personali certamente discutibili, oppure per elementi marginali di poco conto) interventi che hanno permesso cose inaudite – tra l’altro proibite dalle stesse leggi – come i tentativi di interruzione della Santa Messa, cose che in passato non avrebbero potuto nemmeno essere ipotizzate. Da noi fortunatamente non è successo, ma altrove sì.
Se vi fossero difformità reali e dimostrabili il parroco dovrà essere contattato dopo la conclusione del rito religioso e mai nell’aula ecclesiale.
Per questo, ancora una volta, vi esorto ad ubbidire alle indicazioni del governo, del resto controfirmate dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, anche quando qualcosa non ci va a genio. Sapete che dal punto di vista giuridico il parroco non è responsabile di un eventuale contagio, ma – come legale rappresentante dell’Ente Parrocchia – può essere considerato responsabile di non aver messo in atto le intimate condizioni di sicurezza.
Sarà però necessaria una riflessione più approfondita che non si fermi esclusivamente ai dati della cronaca che passa. Ve la lancio brevemente solo come accenno da riprendere poi personalmente e comunitariamente.
Se è successo quanto non doveva succedere non è solo a causa della superficialità di qualche nostro confratello o per l’intraprendenza narcisistica e non giustificabile di sindaci o tutori dell’ordine che ignorano sia le leggi che il Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, ma soprattutto – e questo ve lo dico con sofferenza – perché la Chiesa non ha più una reale incidenza nella società e i sacerdoti non hanno più il rispetto che avevano una volta.
Questo ci dovrebbe far pensare molto non solo sulle cause che l’hanno prodotto, ma soprattutto sul come ovviare a questo disinteresse e talvolta ostilità palese o nascosta e tentare – con l’aiuto di Dio – di recuperare.
Nel comunicato dei vescovi campani veniamo invitati a una “lettura sapienziale degli avvenimenti”: è una prassi che dovremmo sempre adottare per comprendere in profondità la volontà di Dio, cosa veramente vuole il Signore da noi. Ma in questa emergenza mondiale dobbiamo interrogarci ancora più profondamente per rivedere il nostro stile di vita, le modalità dell’annuncio evangelico, abbandonare qualche abitudine pagana nelle feste esterne che sarebbe il caso di purificare. Naturalmente mi rendo conto delle difficoltà che si incontrano quando si toccano questi tasti che sono condizionati da interessi non spirituali. Su questo argomento l’intervento dei vescovi campani è illuminante anche se non determinante.
Potrà essere necessario modificare alcune prassi consolidate, e non mi riferisco solo a quanto ora detto, prassi con fondamento esperienziale molto labile talvolta riguardanti anche la stessa catechesi sacramentale o permanente spesso ripetitive e poco incidenti nella vita. Mettere veramente al centro della nostra pastorale l’annuncio e la costruzione del Regno di Dio, potrebbe essere l’inizio di una “lettura sapienziale” di quanto stiamo vivendo. Non subire il dramma ma superarlo imparando a migliorare.
È chiaro che il problema non lo risolviamo questa mattina, ma lancio la domanda come riflessione per me e per voi: il nostro annuncio evangelico, la nostra pastorale diocesana e parrocchiale, l’impegno anche educativo delle religiose, nelle e con le loro Comunità, sono incidenti nella vita di coloro ai quali vengono proposti? Sono catechesi esperienziali, cioè entrano profondamente nella esperienza reale della vita di ciascuno?
Nella sinagoga di Nazareth Gesù legge il brano di Isaia 61 che abbiamo ascoltato come prima lettura e commenta: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Fratelli carissimi, ogni volta che leggiamo la Parola di Dio, se apriamo il cuore e non solo le orecchie, la Scrittura si compie per noi.
Cogliamo negli avvenimenti della storia, anche dolorosi e drammatici che sperimentiamo, l’insegnamento della Parola di Dio che vuole istruirci nel bene, accompagnarci sapientemente, cambiarci profondamente.
Il dono dello Spirito Consolatore che a Pentecoste trasformò gli Apostoli, trasformi anche noi.
✠ Salvatore, arcivescovo