04 giu | Omelia alla celebrazione della Veglia di Pentecoste

Capua, Basilica Cattedrale – 4 giugno 2022

 

Carissimi sacerdoti, diaconi, consacrate, seminaristi e fedeli laici, da 2 anni non abbiamo celebrato questa Veglia di Pentecoste, solennità che viene definita “Il completamento della Pasqua”. In che senso la Pentecoste completa la Pasqua? Può mancare qualcosa alla Risurrezione del Signore?

Certamente no, ma il dono dello Spirito che viene promesso da Gesù più volte durante la Sua vita e inviato sugli Apostoli per la remissione dei peccati già la sera di Pasqua, assume una evidenza travolgente a Pentecoste quando, dopo la manifestazione gloriosa nel cenacolo con il vento e le fiamme di fuoco (in qualche modo timidamente simboleggiate dal gesto del petali sparsi sull’assemblea in questa solenne Liturgia) la forza dello Spirito Santo, il Consolatore e il Paràclito come il Signore l’aveva chiamato nelle sue parole profetiche, consente ai discepoli di superare la paura, aprire le porte e annunciare a tutti la Risurrezione di Cristo. A Pentecoste si manifesta la Chiesa che annuncia il Vangelo, realizzando quanto il Signore aveva comandato.

L’annuncio del Vangelo è innanzitutto un annuncio di salvezza che fa superare ogni umano limite, ogni conseguenza del peccato, ogni blocco spirituale che impedisce all’uomo di vivere nella libertà che il Signore ha conquistato con la Sua passione, morte e risurrezione.

Nell’orazione alla seconda lettura che narra la discesa del Signore sul Sinai e il patto di alleanza tra YHWH e il suo popolo, è ben evidenziato questo annuncio che, nella richiesta della fiamma di carità, ben esprime la forza dell’Onnipotente che, se lo vogliamo accogliendo liberamente la salvezza che ci viene offerta, può distruggere il male presente in ciascuno di noi. Ve la riporto: “O Dio dell’alleanza antica e nuova, che ti sei rivelato nel fuoco della santa montagna (il Sinai-l’Antica Alleanza – il Popolo di Israele) e nella Pentecoste del tuo Spirito (il Cenacolo – la Nuova Alleanza, la Chiesa), fa’ un rogo solo dei nostri orgogli, e distruggi gli odi e le armi di morte; accendi in noi la fiamma della tua carità, perché il nuovo Israele radunato da tutti i popoli accolga con gioia la legge eterna del tuo amore”.

Permettiamo al Signore di bruciare il nostro orgoglio e accendere in noi la fiamma della carità, distruggendo gli odi e le armi di morte.

Come è sempre attuale la Parola di Dio e come vivacemente viene ripresa dalla Santa Liturgia!

Quando vado nelle parrocchie a celebrare la Cresima, sottolineo che nelle diverse preghiere del Rito viene ricordato che quanto i giovani stanno sperimentando è una “nuova Pentecoste”, una “Pentecoste parrocchiale”. Naturalmente so bene che non basta sottolinearlo ma è necessaria una profonda consapevolezza interiore che incida nella vita di tutti i cresimati che, confermati nella fede, vengono inviati come gli Apostoli a testimoniarla dovunque, soprattutto in contesti difficili o non accoglienti.

Questa Veglia ha un profondo significato che ci riporta all’esperienza degli Apostoli; anche la nostra preghiera di questa sera rappresenta un richiamo profondissimo alla prima Pentecoste sperimentata dai discepoli radunati in preghiera con Maria nel Cenacolo, il luogo dell’ultima Cena, il luogo della prima Eucaristia. Dobbiamo per questo viverla come completamento della Pasqua per ciascuno di noi nella tensione verso l’annuncio del Vangelo non prodotto esclusivamente dalla voce ma da una testimonianza continua. Mi piace ricordare una frase di Sant’Agostino che già conoscete e che altre volte vi ho citato. Il Santo Vescovo, parlando dell’adunanza liturgica rallegrata dai canti che anche noi abbiamo innalzato in onore del Signore e continueremo ancora in questa Santa Assemblea, scriveva (ve la richiamo come la ricordo): “Quando termina la celebrazione e tornate alla vostre case la voce tace, ma la vita canta”.

In un altro contesto aggiunge: “Lodiamo dunque il Signore, fratelli, con la vita e con la lingua, col cuore e con le labbra, con la voce e con la condotta. Dio infatti vuole che gli si canti l’Alleluia senza che vi siano stonature in chi canta. La nostra lingua pertanto deve intonarsi con la vita, le labbra con la coscienza” (Discorso 256). “Certamente canti, lo sento. Ma la vita non abbia mai a testimoniare contro le tue parole” (Sermone 34).

Forse, mai come in questo tempo, la testimonianza di una vita retta orientata dalla Parola di Dio e sostenuta dall’Eucaristia, può essere – come diceva San Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi – (L’impegno di annunziare il Vangelo) l’unica predica che l’uomo di oggi ancora ascolta. Era l’8 dicembre del 1975 e il Papa ci dava i parametri fondamentali del modello di comportamento per l’annuncio cristiano; ero sacerdote da 2 anni e oggi sono ancora convinto che è la cosa più vera detta da un Pontefice circa la proclamazione del Vangelo. Vi riporto la frase intera che certamente ricordate: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN, 41).

 

Carissimi fratelli e sorelle, il brano evangelico di Giovanni oggi proclamato ci ha ricordato che solo Gesù può veramente saziare la nostra sete di verità e di gioia: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”.

Tra poco accenderemo le candele, segno della nostra fede, e rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo cantando “Credo!”.

Il Signore ci conceda una fede ardente, manifestata da una vita coerente al Vangelo che ci permetta di annunziarlo non solo a parole ma – nonostante i nostri limiti e le nostre povertà – con la nostra stessa vita.

 

✠ Salvatore, arcivescovo