Capua, 28 ottobre 2018
Siamo radunati nel Giorno del Signore per celebrare l‘Eucaristia e dedicare – è il termine liturgico che indica la consacrazione – questa chiesa parrocchiale nella quale già da 60 anni vengono celebrati i Santi Misteri. Non tutte le chiese infatti sono consacrate. In questi anni si sono susseguiti per la guida della Comunità diversi sacerdoti: mons. Umberto D’Aquino il fondatore, don Antimo De Angelis primo parroco, mons. Elpidio Lillo ora Vicario Generale, don Paolo Dello Stritto, don Gennaro Iodice, don Raffaele Paolucci e, attualmente, don Raffaele D’Agosto. Per l’occasione del 60° il parroco ha fatto costruire il nuovo altare di marmo e l’ambone da cui solennemente viene proclamata la Parola di Dio.
Il Rito della Dedicazione è tra i più significativi e suggestivi della Liturgia ma è certamente il meno conosciuto perché raramente i fedeli hanno la possibilità di parteciparvi.
È una celebrazione ricca di simboli che parlano.
Sempre la Divina Liturgia parla da sola senza bisogno di commento, ma particolarmente nella Messa crismale del Giovedì Santo mattina, la Veglia di Pasqua e, appunto, la Dedicazione di una chiesa, viene espressa in maniera insigne la profonda ricchezza di un messaggio che supera il simbolismo e riempie lo spirito.
L’aspersione con l’acqua benedetta come ricordo del Battesimo; il canto delle litanie dei Santi che richiama la Comunione con la Chiesa celeste; la deposizione delle reliquie del Martire San Prisco, protovescovo della nostra Arcidiocesi, segno della profonda unità con Cristo – Re dei martiri, come diceva S. Agostino – simboleggiato dall’altare; l’unzione col Sacro Crisma dell’altare e delle 12 croci (ricordo degli Apostoli – la Chiesa non è solo Una-Santa-Cattolica ma è anche Apostolica); l’incensazione dell’altare, delle pareti della chiesa e dei fedeli illuminati dalla Parola e santificati dai Sacramenti; l’accensione di tutte le luci che richiamano la splendida luce del Risorto. Tutti questi segni parlanti del prezioso Rito che stiamo celebrando ci introducono nella gioiosa profondità del Mistero di Cristo
La liturgia della Parola rimanda al “segno del tempio”, luogo della Parola di Dio (prima lettura – Neemia), alla Comunità chiamata a vivere come Edificio di Dio (seconda lettura – Paolo ai Corinzi), all’impegno di adorare Dio in spirito e verità (Vangelo).
Neemia aveva un posto importante alla corte persiana e riuscì con la sua tenacia – per sé e per quanti lo vollero (perché molti preferirono restare in Babilonia in quanto le condizioni ambientali ed economiche degli esuli erano diventate progressivamente molto favorevoli) – ad ottenere il permesso di ritornare a Gerusalemme. Neemia, laico, è il governatore e si incarica degli aspetti profani, Esdra, sacerdote, si impegna nella riforma religiosa.
Il brano letto oggi come prima lettura, tratto appunto dal libro di Neemia, racconta l’assemblea di Gerusalemme; siamo nell’anno 398 a. C. nel giorno della festa dei Tabernacoli. Esdra, aiutato dai leviti, legge tutta la mattinata il libro della Legge di Mosè – il Pentateuco della nostra Bibbia – provocando il pianto del popolo che riconosce di non aver osservato la fedeltà all’alleanza con IHWH e comprende che l’attuale desolazione della terra di Israele, conseguenza della deportazione e del lungo esilio è stata provocata appunto da questo: il peccato dei capi e del popolo infedele. Ma Esdra esorta a gioire: “Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”.
Anche per noi, popolo della Nuova Alleanza molto più importante di quella Antica perché fondata sul sangue di Cristo, il riconoscimento della propria infedeltà o della non piena adesione alla Parola di Gesù, deve superare il momento della tristezza attraverso la gioia della continua rinascita prodotta dal Mistero della morte e risurrezione del Signore che ti incorpora a Lui.
Per questo il segno del tempio è stato progressivamente sostituito dal segno della chiesa che prende il nome dalla Ecclesìa–Chiesa, la Comunità che nasce sul Calvario dal cuore trafitto del Crocifisso.
Alla Samaritana che tenta di contrapporre due luoghi materiali per l’adorazione di Dio – Gerusalemme per i Giudei e il monte Garizim per i Samaritani – Gesù risponde affermando il primato dello spirito: “Credimi donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre… i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”.
San Paolo ci teneva a ribadirlo ai cristiani di Corinto sottolineando l’importanza della consapevolezza di appartenere a Dio per mezzo del Battesimo e di essere di conseguenza casa di Dio. Nel brano che abbiamo ascoltato nella seconda lettura afferma: “Voi siete l’edificio di Dio”. Un edificio che è in continua crescita e ristrutturazione e che richiede impegno, dedizione generosa e premurosa attenzione. Paolo, riferendosi nello specifico alla Comunità di Corinto lo sottolinea: “Io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra, ma ciascuno stia attento come costruisce” aggiungendo che si deve contribuire all’edificazione ma non a sostituire il fondamento che è Cristo Gesù perché in tal caso non si costruisce ma si demolisce e insiste: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. E poi conclude con parole fortissime e tremende per quanti con i loro personalismi o egotismi (non tanto egoismo che è più evidente, ma egotismo – più subdolo e meno visibile – cioè compiacimento di sé, convincimento raffinato delle proprie capacità) e per coloro che con una condotta scandalosa allontanano i deboli nella fede dalla retta via e non concorrono alla costruzione dell’edificio spirituale ma lo demoliscono: “Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempo di Dio, che siete voi”.
Le parole sono rivolte a quanti, nella Comunità di Corinto non comprendevano che gli uomini possono dare solo il loro contributo “Io ho piantato, Apollo ha irrigato” ma il vero costruttore è il Signore, “È Dio che ha fatto crescere”.
Valgono anche per noi le sante parole di Paolo: Dio fa crescere la Comunità, noi possiamo solo offrire la nostra piccola, umile collaborazione; piccola perché l’opera principale è di Dio, umile perché richiede la piena consapevolezza del proprio limite. In parrocchia non esiste una scala di merito per cui un compito può essere umanamente accreditato come migliore di un altro o una persona considerata più utile o più brava di un’altra.
In Comunità l’unico merito è il servizio disinteressato, sull’esempio del nostro Maestro che non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la Sua vita (Cfr. Mc 10, 35-45). Luca riporta un’altra massima di Gesù molto importante per segnare lo stile che deve coordinare il servizio: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite «Siamo servi inutili, Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»” (17,10).
Che da oggi questa chiesa-edificio che stiamo per consacrare, sia il segno del nostro essere Chiesa-Comunità di consacrati quotidianamente impegnati alla costruzione sull’unico fondamento che è Gesù.
Al termine della S. Messa, prima della benedizione, il parroco vi inviterà a recitare la preghiera di consacrazione al Sacro Cuore cui è dedicata la vostra chiesa parrocchiale.
La devozione al Sacro Cuore, attualmente ancora molto sentita e promossa soprattutto dall’Apostolato della preghiera che il Santo Padre ha voluto chiamare anche “Rete mondiale di preghiera del Papa”, si esprime soprattutto attraverso l’offerta per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, Madre della Chiesa, delle preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze del giorno, in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini a gloria di Dio Padre.
La pratica dei primi venerdì del mese, l’adorazione eucaristica, la preghiera riparatrice, sono dovute alla mistica Santa Margherita Maria Alacoque che tre secoli or sono offrì la sua vita per questo.
Nel Vangelo Gesù si manifesta come Colui che è mite e umile di cuore, sempre disponibile ad accogliere e consolare. È l’evangelista Matteo che riporta questo significativo brano: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,28-31).
Che ogni uomo possa ritrovare ristoro nel Cuore di Gesù.
Che particolarmente voi, fedeli di questa Comunità parrocchiale, troviate sempre la tranquillità dell’anima nell’incontro quotidiano con il Signore, portando con gioia il Suo giogo che è dolce e il Suo carico che è leggero.
✠ Salvatore, arcivescovo