Capua, Basilica Cattedrale – 10 marzo 2019
Mercoledì scorso, col sacro rito delle ceneri abbiamo iniziato solennemente il Tempo penitenziale della Quaresima.
Da tutta la diocesi mi è stato comunicato che le nostre parrocchie erano affollate e i fedeli sono accorsi numerosi nonostante il generale calo delle presenze alla Messa domenicale che in Italia stiamo purtroppo da tempo registrando.
È giusto domandarsi perché questa evidente disaffezione al sacro, e insieme, perché si rileva una presenza chiaramente massiccia il mercoledì delle ceneri.
Non credo che possa esserci una univoca risposta ma il positivo dell’adesione al rito penitenziale può indicarci strade pastorali da percorrere.
Il Papa, nella sua omelia, ha affermato che occorre chiarezza sulla meta del nostro cammino e, illustrando il significato dell’atto penitenziale delle ceneri, ha puntualizzato tre cose:
- Le realtà terrene svaniscono come polvere al vento, i beni terreni sono inconsistenti e provvisori.
- Inutile inseguire le cose che passano perché rappresentano solo un grande inganno.
- La Quaresima è un cammino, un tempo propizio per accorgerci delle illusioni della nostra esistenza.
La precarietà della vita terrena, il comprendere l’inganno delle cose che passano e desiderare un percorso che ti apra la mente per capire, possono quindi essere tra i motivi che ancora oggi, nonostante il secolarismo e l’indifferentismo per le cose del sacro, spingono tante persone credenti, ma non abitualmente praticanti, ad accostarsi al rito che apre la Quaresima.
Riprendo le parole finali del brano di Paolo ai Corinti dalla seconda lettura di mercoledì: “Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”.
L’occasione del rito penitenziale, il cammino quaresimale ben vissuto nella riflessione sulla realtà dell’esistenza, possono considerarsi momento favorevole per la salvezza. Preghiera come intimità con Dio, digiuno non solo materiale come controllo del nostro equilibrio, elemosina con quanto viene tolto all’egoismo, sempre vissute nel segreto ma certi dello sguardo penetrante del Signore, dovrebbero segnare i quaranta giorni che ci separano dalla Pasqua.
Una strofa dell’inno che troviamo nell’Ufficio delle letture è significativa: “Sia parca e frugale la mensa, sia sobria la lingua e il cuore. È tempo di ascoltare la voce dello Spirito”. Forse la mensa può, senza grosse difficoltà, diventare parca e frugale – tra l’altro fa anche bene – più difficile la sobrietà della lingua e del cuore. Pensiamoci: non sprechiamo parole inutili che talvolta fanno anche soffrire gli altri ed evitiamo di appesantire il cuore e la mente con giudizi cattivi e inquinano l’anima.
Carissimi fratelli, oggi prima domenica di Quaresima, abbiamo ascoltato dal terzo evangelista, San Luca, il racconto delle tentazioni di Gesù che è appena tornato dalla manifestazione al Giordano in cui, col cielo aperto per permettere la discesa dello Spirito, la voce del Padre l’ha proclamato “Figlio amato nel quale ha posto il Suo compiacimento” (Cfr. Lc 3, 21).
Le tentazioni cui Gesù volontariamente si sottopone, sono anche le nostre: “Se tu sei Figlio di Dio…”. Domanda insistente che invade anche l’intimità dei nostri cuori quasi un suadente, insidioso sibilo e suggerisce il sospetto: “Ma siamo proprio sicuri di esserlo? Possiamo fidarci di Lui?”. Ci vogliono le prove: le pietre che diventano pane; il potere su tutto se ti inginocchi di fronte al Male; lo spettacolo, che potrebbe essere fortemente applaudito, dell’essere sostenuto dagli angeli mentre ti butti dal pinnacolo del tempio (e Satana cita la Sacra Scrittura, il Salmo 90 che abbiamo pregato come responsorio tra le letture). È quello che vuole il mondo.
“Non di solo pane vivrà l’uomo; solo il Signore tuo Dio adorerai; Non mettere alla prova il Signore”. La risposta di Gesù è anch’essa tratta adeguatamente dalla Scrittura, Parola di Dio, Parola Sua, Lui stesso è la Parola, il Verbo che si è fatto carne venendo ad abitare in mezzo a noi.
La risposta inoltre richiama il vincolo originario che Mosè, nella prima lettura di questa celebrazione (Dt 26), trasmette al popolo pellegrino invitandolo – quando sarà nella terra promessa e porterà le primizie al sacerdote – a fare memoria della sua storia: “tu pronuncerai queste parole: Mio padre era un Arameo errante (è Abramo il padre del popolo), scese in Egitto (Giuseppe, venduto come schiavo che poi, al tempo della carestia fa venire il padre Giacobbe e i fratelli), vi diventò una nazione grande. Gli Egiziani ci imposero una dura schiavitù. Gridammo… e il Signore ascoltò la nostra voce… e ci fece uscire dall’Egitto (Mosè)… ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra dove scorrono latte e miele (Giosuè). Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, o Signore, mi hai dato”. IHWH è riconosciuto come il Padre buono che ascolta e accompagna suo figlio, il popolo di Israele.
La risposta richiama anche quanto Paolo, nel brano della lettera ai Romani (seconda lettura di oggi), fa emergere ancora più chiaramente circa la dimensione della figliolanza e della paternità che riguarda ogni uomo indistintamente e senza separazioni di classi, storia o cultura. L’Apostolo infatti afferma: “Chiunque crede in Lui non sarà deluso…Chi invocherà il nome del Signore sarà salvato”.
È la Fede la discriminante fondamentale e non può esserci distinzione tra Giudeo e Greco, dato che Lui stesso è il Signore di tutti. San Paolo, all’inizio del brano ora letto, cita Dt 30, 14: “Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore” applicando al seguace di Gesù quanto Mosè applica al popolo di Israele in cammino verso la terra promessa.
La Fede che nasce dall’ascolto di Uno dal quale ti senti voluto bene, una fiducia che richiede sempre un superamento del dubbio, di domande insidiose, tentennamenti, interrogativi esistenziali mai completamente soddisfatti, tentazioni che possono ripresentarsi e che necessitano di risposte coraggiose.
Il brano evangelico delle tentazioni si conclude con la previsione di un appuntamento non eludibile “Il diavolo si allontanò da Lui per ritornare nel tempo fissato”. Sappiamo che Gesù, vero Dio ma anche veramente uomo, sperimenta la tentazione non solo all’inizio del Suo Ministero dopo il Battesimo al fiume Giordano ma anche durante la Sua vita terrena e, soprattutto, al termine della Sua Missione sulla terra: nell’orto del Getsemani quando dovrà accogliere la volontà del Padre fidandosi completamente dirà: “Se possibile passi questo calice, ma non la mia ma la Tua volontà sia fatta” e perfino sulla croce quando si sente invitato ad aggirare la sofferenza: “Se tu sei il figlio di Dio, salva te stesso, scendi dalla croce”. Gesù non scende dalla croce ma, trafitto e sofferente, in questo modo ci salva.
Anche noi non possiamo sfuggire alla tentazione che è una prova della solidità della nostra Fede. Non sempre riusciremo a superare facilmente la competizione che richiede impegno e sacrificio ma con l’aiuto della Grazia nulla ci sarà impossibile.
- Agostino nel brano che la Liturgia delle Ore (il Breviario che pregano i sacerdoti, le religiose e i laici che lo volessero) oggi proposto per la meditazione nell’Ufficio delle letture, invita a una profonda riflessione: “La nostra vita non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può veramente conoscere se stesso se non è tentato. Se siamo tentati (come Gesù) sarà proprio in Lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che Egli ha anche vinto?”.
Fratelli carissimi, sforziamoci di vivere bene questo Tempo Quaresimale in preparazione alla Pasqua in unione a Gesù nostro Maestro, scoprendo la nostra vocazione di Figli, non spaventandoci se siamo tentati, ma certi – con Gesù – di vincere.
✠ Salvatore, arcivescovo