Celebriamo questa Eucaristia vespertina al termine della processione dei Santi Patroni della Chiesa Capuana e dopo l’insediamento nel Capitolo Cattedrale di due nuovi canonici.
La processione manifesta la testimonianza, l’investitura canonicale la preghiera. La nostra fede nel Cristo Risorto si esprime nella trasmissione di quanto crediamo anche attraverso segni esterni e nella crescita interiore attraverso l’elevazione dello spirito in Dio. I due elementi si incrociano e si completano a vicenda: non c’è crescita spirituale senza manifestazione, la trasmissione della fede avviene mentre si riesce a cogliere l’opera grande del Signore in noi perché non è possibile sperimentare la Sua presenza e non condividerne la preziosità con quanti incrociamo nella nostra umana esistenza riconoscendo che tutti sono chiamati alla salvezza.
La prima lettura di oggi, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli, narra l’esperienza di Cornelio, il primo pagano che viene battezzato. Il centurione romano manda a chiamare Pietro e vuole sentire da lui la bella notizia del Vangelo. Mentre Pietro, meravigliato esclama: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”, sperimenta qualcosa che mai avrebbe immaginato; lo Spirito Santo scende su Cornelio e la sua famiglia ed è costretto ad affermare “Chi può impedire che siano battezzati questi che, come noi, hanno ricevuto lo Spirito Santo?”.
San Giovanni, nella sua prima lettera (è la seconda lettura di questa VI domenica di Pasqua) afferma: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.
Chi sono i santi? Sono coloro che si lasciano inondare dall’amore di Dio sperimentando il Suo amore e donandolo agli altri. Chi è chiamato alla santità? Tutti, nessuno è escluso dall’abbraccio misericordioso del Signore.
Nel brano evangelico tratto dal grande discorso dell’ultima cena, prima che gli apostoli scappino e lo lascino solo mentre viene portato al giudizio e al martirio, Gesù dona il Suo testamento: “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. È un discorso di addio, accorato e profondo. Gli apostoli comprendono solo in parte la portata fortissima delle parole del Maestro, ma il centro è questo: accogliere il comandamento di Volersi veramente bene e rimanere nell’amore. Come si rimane nel Suo amore? Osservando il Suo comandamento. Come? Lo dice agli apostoli, lo dice a noi: “ Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Perché lo afferma in maniera così categorica? Può l’amore essere oggetto di un comando? Nel brano ora letto tratto dalla prima lettera di Giovanni, l’Apostolo prediletto dà la più alta definizione di Dio presente in tutta la Bibbia: “Dio è Amore”. “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. Il comando ci viene dato perché possiamo vivere nella gioia e sperimentiamo con Lui la condivisione del progetto di salvezza. Gesù infatti ci dice che coloro che decidono di seguirlo quando Lui chiama non sono servi, ma amici. I servi sono obbligati a fare cose di cui non comprendono il senso e lo scopo, gli amici condividono il progetto, lo accolgono e si sforzano di realizzarlo.
Non sembri una utopia inesistente o irrealizzabile in un mondo che si manifesta sempre più imbarbarito non solo per il rifiuto evidente o implicito del trascendente, quello che chiamiamo ateismo ideologico o pratico. Che non sia una utopia è dimostrato da coloro che l’hanno vissuto e che ancora oggi, forse nel silenzio della coscienza, lo vivono, nonostante ostacoli esterni e talvolta interiori povertà.
I santi sono coloro che si sono sforzati – come amici di Gesù – di realizzare il Suo progetto d’amore.
Celebrare i santi patroni vuol dire certamente chiedere il loro patrocinio e la loro intercessione, ma significa altresì imitarne gli esempi, sforzarsi – come loro – di fondare la nostra vita su Gesù, condividendo il Suo progetto d’amore, come amici e non servi.
Recentemente Papa Francesco ha indirizzato a tutti i cattolici una Esortazione apostolica, la Gaudete et exultate, sulla universale vocazione alla santità.
È un piccolo ma prezioso invito a credere sul serio che tutti siamo chiamati a farci santi, un ripeterci quanto dovremmo già sapere. Siamo convinti di non esserlo ancora – e questo è bene ribadircelo ogni giorno per evitare di sentirci migliori degli altri. Ricordate quanto diceva San Paolo ai Corinti “Chi pensa di stare in piedi, stia attento a non cadere!” (1Cor 10, 12) – ma ugualmente chiamati a tendervi sempre, senza illuderci di essere già arrivati e, nel contempo, senza scoraggiarci per le nostre incapacità e debolezze. Vi invito a leggere questa esortazione del Papa, la trovate anche sul sito dell’Arcidiocesi.
Il Santo Padre inizia parlandoci dei grandi esempi di santità dell’Antico e nuovo Testamento ma poi ci invita a guardare non solo alle figure istituzionali come i parroci attenti e disponibili per i fedeli affidati alla loro cura pastorale, i contemplativi che segnano la loro giornata con la preghiera, il lavoro e il sacrificio, i missionari, i consacrati e le consacrate che offrono la loro vita per i fratelli, ma anche a quelli che chiama i santi della porta accanto: “I genitori che crescono con tanto amore i loro figli, gli uomini e le donne che lavorano per portare il pane a casa, i malati, le religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno si vede la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, la classe media della santità”(cfr. n. 7) .
Che la festa dei Santi Patroni possa ricordarci questo e i loro esempi ci spronino a sperimentare una vita esemplare nella onestà e nel rispetto degli altri pronti sempre a realizzare nel quotidiano il comando di Gesù: “Amatevi come io vi ho amati”.
✠Salvatore, arcivescovo